Conosco un’altra cavalleria . Così san Roberto di Molesme, insieme a Sant’Alberico e Stefano Harding, fondatori dell’Ordine Cistercense, rispose a suo padre davanti alla proposta di diventare cavaliere del regno insieme al cugino, nella vita romanzata raccontata da M. Raymond.

Un’altra cavalleria …la cavalleria che san Roberto aveva intuito guardando il Crocifisso confitto alla croce sulla tavola di casa; quella cavalleria della quale già san Paolo -a più riprese- nelle sue lettere manifesta con l’umile fierezza e vanto di chi si sente raggiunto da una grazia più grande: una grazia nobile, appunto, perché nobile -cioè Signore / Kyrios- è Colui che la concede a quanti hanno il cuore sufficientemente dilatato per accoglierla.

Un’altra cavalleria …la cavalleria sgorgata sul Golgota dal costato aperto di Gesù: una signoria -la sua- manifestata con la salvezza offerta ad ogni uomo ed il perdono invocato per i suoi aguzzini; cavalleria che si sente sorgere nell’intimo stando davanti, come è accaduto a molti membri di questo glorioso ordine, davanti alla Sindone che riverbera la passione di Cristo.

Questa cavalleria, dal sapore antico e quanto mai attuale, è ciò che muove l’incontrarsi e ispira i propositi dei Templari Cattolici d’Italia in questo tempo in cui l’umanità appare così orfana di cavalleria e, soprattutto, di Dio. La dimenticanza di Dio, l’esclusione della sua Legge riassunta nella persona storica di Gesù -il Verbo fatto carne, crocifisso e risorto – e il conseguente inorgoglimento della mente e del cuore degli uomini, sono alla radice del Male che, quale Principe di questo mondo, va’ dilagando nella società e persino all’interno della Chiesa, secondo la celebre espressione del beato Paolo VI che il 29 giugno 1972 riferendosi alla situazione ecclesiale affermava: attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel Tempio di Dio.

Allora, il venerato e beato Pontefice, con la sua voce vibrante constatava con particolare profetismo:c’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa. E’ entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. E più oltre continuava: Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza …. E si chiedeva: Come è potuto avvenire questo?. Il Papa confidava ai presenti il suo pensiero secondo il quale era intervenuto nel mondo e nella Chiesa un potere avverso, potere il cui nome è Satana. Crediamo – osservava Paolo VI – in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé .

Dopo pochi mesi, Paolo VI, intervenne ancora su questo tema. Era il 25 novembre 1972 quando durante l’udienza generale il Papa esordiva così: Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa? Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo demonio (…) Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico che si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sè stante, non avente esso pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni .

Si trattava, allora, di un’affermazione grave e profetica. Si tratta oggi di una riflessione gravissima ma quanto mai attuale. Il nostro tempo è quello profetizzato dal beato Paolo VI: tempo in cui rari sono coloro che richiamano all’esistenza e all’operosità del Maligno. Si proclama, invece, l’inferno vuoto in nome di un non ben precisato ne evangelico buonismo che tutto perdona perché tutto tace…male compreso, e che è totalmente altro da quella Misericordia, che il Sommo Pontefice Francesco costantemente sta richiamando. Si annunzia l’avvento di una fraternità universale, frutto di un delittuoso quanto falsato “ecumenismo umano” dimenticando -come ammonisce l’Apostolo – che è Cristo, e solo Lui ad aver riconciliato nella sua carne crocifissa i popoli e le nazioni. Ci si combatte, ci si divide, ci si allontana contrastando quella cultura dell’incontro che, diversamente, è così ben presente nel cammino di conversione dei Templari Cattolici d’Italia.

Davanti a questo orizzonte che Papa Benedetto XVI, Vescovo emerito di Roma, definì relativismo, ma che possiamo anche definire sincretismo religioso o fumo di Satana, solo un segno ancora va innalzato a spartiacque tra la Verità e le verità; tra la Via e le vie; tra la Vita e il sopravvivere; tra Cristo e il Menzognero: è il segno della Croce, la spada con la quale Cristo stesso definitivamente cambia la sorte della vita umana. Una croce che è anzitutto gloriosa come canta l’antico inno Vexilla Regis:

Avanza il vessillo del Re, risplende il mistero della Croce, sulla quale Gesù, nostra vita, subì la morte e con la morte ci ridonò la vita. Dopo essere stato ferito dalla punta crudele di una empia lancia, per lavarci dal peccato stillò acqua e sangue. O luminoso Albero tinto di regia porpora, tra tutti eletto a reggere le sante membra di Cristo. Beata Croce splendida innalzi il Re dei secoli con il suo sangue prezioso ci riscattò dal male. Altare e tu, vittima, salve! È gloria la morte cruenta, la vita che soffre la morte, con la morte la vita ci dona. Salve o Croce, unica speranza, in questo tempo della passione, accresci la grazia ai giusti e cancella le colpe ai peccatori. O altissima Trinità celeste, Ti lodi ogni spirito, proteggi sempre quelli che hai salvato con il mistero della Croce. Amen. (Inno Vexilla Regis)

Il Vessillo di Cristo, in cui risplende il mistero della nostra e universale salvezza, non è tanto l’oggetto del culto quanto il soggetto che muove i Templari Cattolici d’Italia nel loro quotidiano impegno a lottare per edificare la “Civiltà dell’amore”, attraverso i molteplici incontri di preghiera, ritiri spirituali, riapertura e decoro di chiese chiuse, abbandonate spesso all’opera dei movimenti satanisti. Quella Croce patente, affissa sui loro abiti è la memoria di una passione interiore dalla quale sgorga la forza, l’entusiasmo e la passione per ingaggiare la buona battaglia della fede contro Satana e tutta la sua poliedrica forma di adepti. Come Cristo ricevette abbracciando la Beata Croce così ai Templari Cattolici d’Italia, è richiesto in nome di quella più alta e nobile cavalleria della quale sono stati resi partecipi, di abbracciare e lasciarsi condurre dalla Croce, assumendone con gradualità e costanza la profonda spiritualità.

Sì, la Croce è generatrice di spiritualità anzitutto perché su di essa, dice l’Evangelo, Cristo emisit spiritum: – Gesù, il Messia e Signore, l’Alfa e l’Omega della storia, l’Amen di Dio ha gettato fuori da sé -dice una traduzione letteraria radicale – il suo spirito chespirat ubi vult – che soffia dove vuole rintracciando ogni uomo che cerca Dio per potervi poi dimora. Come all’alba della storia umana Dio Padre emisit spiritum nelle narici di Adamo donandogli la vita, così sulla Croce il Signore emisit spiritum per rigenerare i figli di Dio, per donare loro la salvezza infondendo la grazia della vita eterna, per lavarli dal peccato e ridonare la giusta misura della figliolanza. E così questi uomini e donne, Templari Cattolici d’Italia, operando nel mondo, senza voler apparire al mondo ma paghi di essere presenti a Dio, in obbedienza alla Chiesa e in comunione con il Suo Magistero, spargono il «profumo di Cristo: odore di vita per la vita» (cf 2 Cor 2, 15-16), dando testimonianza della speranza che è in loro (Cf 1 Pt 3.15).

La Croce poi, è generatrice di spiritualità per i cristiani, ricordando l’alto onore e onere dell’obbedienza. Scrive san Paolo nella lettera ai Filippesi: Cristo Gesù pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre (Fil 2, 6-11). Abbracciando la Croce, i Templari Cattolici d’Italia abbracciano Cristo stesso nel gesto totale del suo abbandono al Padre preannunciato nel Getsemani, là dove nella compagnia silenziosa con il Padre pronunciò quelle parole, riassunto commovente della sua vita:Padre, passi da me questo calice; tuttavia non la mia ma la tua volontà sia fatta.

Ed è questa obbedienza al Vangelo, radicata nell’obbedienza alla Chiesa che si incontra incontrando i Templari Cattolici d’Italia.

Ma ancora. La Croce ricorda il valore del coraggio che non scaturisce dall’orgoglio ma dalla passione e dal cuore. Come il Signore non subisce la Croce ma la afferra per portarla al suo compimento, così alla sua scuola anche i Templari di oggi non subiscono le croci dell’indifferenza o del giudizio, ma le portano con il coraggio infuso nei loro cuori da un amore più grande: quello portato a Cristo e alla Sua Chiesa. E per questo, nel nascondimento e nell’umile e costante presenza operosa in ogni parte d’Italia, e anche nel mondo, essi diventano reali testimoni nelle periferie esistenziali, quelle delle quali spesso molti parlano ma pochi vi abitano. Eppure, è proprio lì, nell’indifferenza costruita o interessamento malevolo, che i Templari Cattolici d’Italia, sperimentando la beata solitudine, sola beatitudine (attribuita a san Bernardo ma attestata ad un poeta latino del XVI secolo, Corneille Muys), sperimentano il gaudio e la vittoria dell’amore di Cristo.

La vittoria della Croce, infatti, è la vittoria dell’amore di Cristo ed è la gloria dei Templari. È l’alba della luce, è la rifioritura della nuova vita, che verdeggia sul tronco salutifero della Croce.

Guardando a Cristo che brandisce la sua spada e pur nella sofferenza, la solleva con forza incamminato verso il Golgota consapevole che in essa si compie il Disegno del Padre, i Templari di ieri e di oggi, ripetono con san Paolo: Quanto a me… non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesú Cristo (Gal 6, 14); e consapevoli che nelle carni crocifisse dell’uomo è presente la carne crocifissa di Cristo, operano ricordandosi gli uni agli altri che la gloria è da dare solo a Dio: Non nobis Domine, non nobis: sed Nomini Tuo da gloriam (cf Ps 113).

Minister Templi

 

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