Il titolo a questo scritto “Nel Nome di due Papi”, riassume in modo significativo quello che l’Apostolo Paolo scrisse, affermando che nello stesso corpo – la Chiesa, comunità dei santi e dei salvati-, “vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune”.[1]
Nella vita di san Paolo VI e di san Giovanni Paolo II, possiamo cogliere, pur nella diversità della ricchezza d’azione dello Spirito Santo, la permanenza della promessa della fedeltà di Dio al suo Popolo, di essergli prossimo e di svelarne l’interiore mistero.
In epoche diverse, seppur tra loro legate da molteplici vicissitudini storiche similari, i due Pontefici sono stati, e sono, la testimonianza di come il Cristianesimo abbia contribuito e contribuisce, in modo eccellente e oltre ogni altra forma, a svelare l’uomo all’uomo, secondo la celebre espressione della Costituzione Pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes: “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”[2].
Di fatto, san Paolo VI e san Giovanni Paolo II hanno condiviso la stessa passione per Cristo, per l’uomo e per la Chiesa, sviluppando il tema della missione del Cristianesimo in mezzo all’umanità come “missione di amicizia, di comprensione, di incoraggiamento, di promozione, di elevazione; una missione, cioè, di salvezza”[3].
Le loro Lettere encicliche programmatiche del ministero Petrino, Ecclesiam Suam di san Paolo VI e Redemptor Hominis di san Giovanni Paolo II, sono idealmente e concretamente la continuità della stessa missione affidata da Cristo a Pietro e ai suoi successori di confermare i fratelli nella fede; una fede, però, incarnata, storica, non asettica alla realtà contingente, capace di risollevare e cambiare le sorti dello stesso genere umano, se costantemente ascoltata, fedelmente praticata.
Entrambe eredi e fautori del Concilio Ecumenico Vaticano II, hanno contribuito, con la loro parola e la loro testimonianza di vita, a mantenere alto il discorso sulla dignità dell’uomo troppe volte piagato da interessi economici, politici e sociali; hanno sospinto la Chiesa al necessario aggiornamento in vista delle nuove e antiche sfide lanciate da più parti alla fede; hanno difeso i diritti dei poveri e le tristi sopraffazioni dei potenti; forti della Fede e, animati dalla Carità, la loro voce si è alzata a sostenere la speranza in un futuro migliore, capace di attrarre e motivare l’agire e l’impegno delle nuove generazioni.
Di san Giovanni Paolo II e di san Paolo VI si può, mendicando la non banalizzazione dell’esempio, di essere “le due facce della stessa medaglia”: dove la medaglia è Cristo, del Quale, i due Pontefici hanno saputo mantenerne la vivente contemporaneità immersa nella nostra umanità presentandola con la ricchezza della loro esistenza, della loro appartenenza sociale, espressiva del vissuto storico, culturale e familiare.
Il Magistero dei loro pontificati è unito dalla stessa luminosa testimonianza: testimonianza di memoria e di profezia.
San Paolo VI, nella Ecclesiam Suam, prima di due avvenimenti epocali della storia contemporanea, quali i subbugli degli anni ’60 e ’70 e la caduta del muro di Berlino, scriveva interrogandosi e interrogando il mondo: “Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche e locali in cui svolge la sua missione? Come deve premunirsi dal pericolo di un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? Come insieme farsi idonea a tutti avvicinare per tutti salvare?“. E impostava di seguito la risposta: “Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si e fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi [..].Ma il pericolo rimane. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità, […] L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forma e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto“.[4]
Come non leggere, susseguentemente e a corona, nel pontificato di san Giovanni Paolo II, la risposta a queste domande e progetti che profeticamente Paolo VI aveva presentato quarant’anni prima?
- L’arte dell’Apostolato del Papa “venuto da un paese lontano…, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana”[5];
- La sollecitudine del Pontefice ad accostare l’uomo, ogni uomo –al di là della sua etnia o appartenenza religiosa- senza mai venire meno all’annuncio della Verità;
- La fedeltà radicale di Papa Woytjla alla Dottrina di Cristo e la sua conseguente efficacia apostolica negli interventi a favore dell’uomo.
San Giovanni Paolo II, a sua volta, facendo memoria più volte del suo predecessore, ha dato testimonianza di prolungare nel tempo l’azione “antica e sempre nuova”[6] del Successore di Pietro.
Nell’Udienza del 25 giugno 2003, nel 40° anniversario dell’elezione del Cardinal Giovan Battista Montini al soglio di Pietro, san Giovanni Paolo II, tenne a dire: “Avendo avuto anch’io la grazia di prendere parte ai lavori conciliari e di vivere il periodo del post-Concilio, ho potuto personalmente apprezzare l’impegno che Paolo VI non cessava di dispiegare per il necessario ‘aggiornamento’ della Chiesa alle esigenze della nuova evangelizzazione. Succedendogli sulla Cattedra di Pietro, è stata mia cura proseguire l’azione pastorale da lui iniziata, a lui ispirandomi come a un Padre e a un Maestro”.
E alcuni giorni dopo, nell’Udienza del 6 agosto 2003, commemorando il XXV di morte di Papa Montini, continuava: “A distanza di venticinque anni dalla sua dipartita, sempre più fulgida ci appare la sua alta statura di maestro e difensore della fede in un’ora drammatica della storia della Chiesa e del mondo. Ripensando a ciò che egli stesso scrisse a proposito della nostra epoca, che cioè in essa hanno credito più i testimoni che i maestri (cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41), con devota riconoscenza lo vogliamo ricordare quale autentico testimone di Cristo Signore, innamorato della Chiesa e sempre attento a scrutare i segni dei tempi nella cultura contemporanea”.
L’impegno Apostolico di san Paolo VI e san Giovanni Paolo II è accomunato, oltre che da questa passione per Dio, anche dalla passione per l’uomo e per la sua vicenda storica. Ci sono noti i molteplici interventi particolari (discorsi, omelie, udienze…) e universali (Encicliche, Motu Proprio, Lettera ed Esortazioni Apostoliche) di entrambe a favore della Difesa dei Diritti dei Popoli; la radicale scelta per la Pace; i moniti a difesa dell’istituto Matrimoniale; i richiami a salvaguardare il dono della vita dal suo naturale concepimento al suo naturale termine; del rispetto della dignità dell’uomo. Il loro è stato ed è, come profezia e fedeltà alla Tradizione, un lavoro instancabile a favore dell’uomo in nome della Fede Cristiana, apportatrice di cultura e generativa della moderna società Europea ed internazionale. Negare questo fatto è negare la storia e l’uomo stesso in essa.
Come non ricordare,ad esempio, potendole leggere in sinossi, l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI e l’Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II? E ancora, la passione e la sollecitudine di entrambe per la realtà lavorativa e sociale dell’uomo, bene espresse nella Sollicitudo Rei socialis e Centesimus annus di Giovanni Paolo II e nella Octagesima adveniens e Populorum Progressio di Paolo VI? Come non trovare nei discorsi tenuti nelle Assemblee generali delle Nazioni Unite l’altezza del loro Magistero a favore della pacifica convivenza tra i popoli, per non dire del loro fattivo impegno a favorire la risoluzione alle diverse controversie etniche, sociali e politiche, nonché religiose?
Nell’omelia per l’inizio del suo Pontificato, san Giovanni Paolo II affermò, richiamando la disattenzione del mondo “Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna”.[7]
Nel Nome di san Paolo VI e san Giovanni Paolo II, il mondo ha la possibilità di ridurre i confini tra uomo e uomo, ristabilendo le naturali e umane leggi che, sapientemente illuminate dall’Avvenimento Cristiano e fedelmente applicate, possono contribuire all’edificazione della Civiltà dell’amore dove il primato della dignità della Persona umana supera di gran lunga i confini ristretti della logica degli interessi , radicandosi in quella Verità Assoluta e Unica, della Quale i nostri due santi Pontefici sono stati, sono e restano una fulgida testimonianza.
Un ultimo accenno, prima di concludere, vorrei dedicarlo alla spiccata sensibilità dei due Pontefici verso la Bellezza, l’Estetica, la Cultura e l’Arte. Sensibilità che ulteriormente lega questi due Pontefici nel loro ministero e che ce ne tratteggia la finezza ed acutezza di spirito.
Nella Lettera agli artisti, Giovanni Paolo II ha annotato questo stupendo passaggio: “La bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza. Lo avevano ben capito i Greci che, fondendo insieme i due concetti, coniarono una locuzione che li abbraccia entrambi: «kalokagathía», ossia «bellezza-bontà». È vivendo ed operando che l’uomo stabilisce il proprio rapporto con l’essere, con la verità e con il bene”.
E Paolo VI, nell’incontro con gli artisti, il 7 maggio 1964, richiamò: “bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti… Noi dobbiamo ritornare alleati. Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato e, quindi, nell’ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l’arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci. E voi dovete essere così bravi da interpretare ciò che dovrete esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e qualche volta più del tema, quel fluido segreto che si chiama la grazia, che si chiama il carisma dell’arte”.
La Chiesa è depositaria di questo strumento eccellente di comunicazione attraverso il quale, nel corso dei secoli, ad opera dei Pontefici e dei diversi ordini monastici, il mondo si è arricchito in cultura e storia artistica, ingentilendo la propria natura. Dalla contemplazione della Bellezza del Creatore è scaturita, attraverso i secoli, una sorgente di opere che ancora oggi a noi parlano, educandoci. Depositari anche di questo patrimonio, i santi Pontefici, ad esso hanno sapientemente attinto per indicare all’uomo, ricercatore di verità e di bellezza, la via dell’Estetica come strada maggiormente consona al cuore umano, mendicante l’Eterno.
La nostra contemporaneità, soprattutto volgendo il pensiero alle nuove generazioni, erede di quanto anche in questo campo i nostri Pontefici ci hanno trasmesso, ha il difficile ma appagante compito di far ritornare l’uomo al gusto del Bello, del Buono e del Vero; compito di riavvicinare l’uomo all’arte. Innumerevoli opere, oltre ad essere testimonianza di Fede, sono espressione della Cultura che l’incontro tra Cristo e l’uomo sa produrre. In questo senso, l’arte può diventare un elemento interessante d’inter-culturalità, nonché di dialogo e reciproca conoscenza tra i popoli, luogo di incontro delle diverse culture e espressioni della fede.
Vorrei concludere, con la duplice ma univoca parola di Paolo VI, contenuta nella sua Prima Esortazione Apostolica Gaudente in Domino. e di Giovanni Paolo II nel suo Discorso durante il primo pellegrinaggio ad Assisi. Credo che queste loro mirabili parole sintetizzino emblematicamente l’intrinseca unione del Magistero Petrino a favore dell’uomo e nella fedeltà a Dio di questi due grandi della nostra storia contemporanea:
“La società tecnologica -scriveva Paolo VI- ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d’altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l’igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all’angoscia e alla disperazione, che l’apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire. Forse ci si sente impotenti a dominare il progresso industriale, a pianificare la società in maniera umana? Forse l’avvenire appare troppo incerto, la vita umana troppo minacciata? O non si tratta, soprattutto, di solitudine, di una sete d’amore e di presenza non soddisfatta, di un vuoto mal definito? Per contro, in molte regioni, e talvolta in mezzo a noi, la somma di sofferenze fisiche e morali si fa pesante: tanti affamati, tante vittime di sterili combattimenti, tanti emarginati! Queste miserie non sono forse più profonde di quelle del passato; ma esse assumono una dimensione planetaria; sono meglio conosciute, illustrate dai «mass media», non meno delle esperienze di felicità; opprimono la coscienza, senza che appaia molto spesso una soluzione umana alla loro dimensione. Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto”[8]
…
“Tu, che hai tanto avvicinato il Cristo alla tua epoca, -diceva Giovanni Paolo II- aiutaci ad avvicinare Cristo alla nostra epoca, ai nostri difficili e critici tempi.
Aiutaci! Questi tempi attendono Cristo con grandissima ansia, benché molti uomini della nostra epoca non se ne rendano conto. Ci avviciniamo all’anno duemila dopo Cristo. Non saranno tempi che ci prepareranno ad una rinascita del Cristo, ad un nuovo Avvento? Noi, ogni giorno, nella preghiera eucaristica esprimiamo la nostra attesa, rivolta a lui solo, nostro Redentore e Salvatore, a lui che è compimento della storia dell’uomo e del mondo. Aiutaci, San Francesco d’Assisi, ad avvicinare alla Chiesa e al mondo di oggi il Cristo. Tu, che hai portato nel tuo cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci, col cuore vicino al cuore del Redentore, ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca. I difficili problemi sociali, economici, politici, i problemi della cultura e della civiltà contemporanea, tutte le sofferenze dell’uomo di oggi, i suoi dubbi, le sue negazioni, i suoi sbandamenti, le sue tensioni, i suoi complessi, le sue inquietudini… Aiutaci a tradurre tutto ciò in semplice e fruttifero linguaggio del Vangelo. Aiutaci a risolvere tutto in chiave evangelica affinché Cristo stesso possa essere “Via, Verità, Vita” per l’uomo del nostro tempo. Questo chiede a Te, figlio santo della Chiesa, figlio della terra italiana, il papa Giovanni Paolo II, figlio della terra polacca”.[9]
Minister Templi
[1] 1 Corinzi, 12, 4 – 7
[2] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, 22
[3] Giovanni Paolo II, Angelus, 6 gennaio 20041
[4] Paolo VI, Ecclesiam Suam
[5] Giovanni Paolo II, primo discorso ai fedeli, 16 ottobre 1978
[6] Cfr S.Agostino, Le Confesisoni
[7] Giovanni Paolo II, Omelia per l’inizio del Pontificato, Vaticano 22 ottobre 1978
[8] Paolo VI, Gaudente in Domino, 9 maggio 1975
[9] Giovanni Paolo II, Discorso nella Basilica di San Francesco d’Assisi, 5 novembre 1978